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27 Marzo 2022
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24 Aprile 2020
L’emergenza Coronavirus è un fatto epocale, che con buone probabilità le generazioni future studieranno sui libri di storia. Oltre alle conseguenze drammatiche di ordine sanitario ed economico, è indubbio che tutto questo avrà delle ripercussioni a livello sociale e culturale, con un impatto a lungo termine sulla nostra visione del mondo, sulle abitudini, sull’ordine delle priorità e, non ultimo, ...
16 Aprile 2020
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IscrivitiSe il recupero del patrimonio immobiliare è un tema centrale in Italia, un capitolo a parte riguarda il riuso degli edifici vuoti tanto pubblici che privati. Come sottolineato da Silvia Viviani, presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica - durante il convegno milanese di Urbanpromo - la scommessa è capire quali siano le qualità e le potenzialità di questi immobili, pensandoli come risorse.
Nel residenziale 2,45 miliardi di metri quadrati, ai quali se ne aggiungono 98 milioni in uffici, 164 di immobili commerciali, 458 industriali. Un totale di più di 3 miliardi di metri quadri di edificato in Italia, che indicativamente ne valgono 4,12 di euro, anche se, sottolinea Mario Breglia, fondatore e presidente di Scenari Immobiliari, “si tratta di una stima che non ha alcun significato pratico”, dato che in questi enormi numeri si trova di tutto: da appartamenti sfitti ma in ottime condizioni, fino a quegli edifici per i quali l'unico destino possibile sarebbe la demolizione. “Una parola che è tabù in Italia” aggiunge Breglia e invece “non è che si debba pensare per forza in termini di crescita delle città, ma anche di contrazione, con la creazione per esempio di nuove aree verdi”.
Non c'è dubbio che il recupero del patrimonio immobiliare sia un grande tema dei nostri giorni. E si riferiscono solo a quello privato, più difficile quantificare quello pubblico, che a spanne si può ritenere inutilizzato per il 20% circa.
Se ne è parlato a Urban Promo. All'appuntamento su questo tema della kermesse milanese era presente la presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica (Inu), Silvia Viviani, secondo la quale questi numeri “sono destinati ulteriormente a crescere, perché non derivano solo dalle macerie di un mercato distorto come quello che abbiamo avuto negli ultimi anni. C'è anche cio che è stato abbandonato perché cambiano le strategie del lavoro, le modalità con le quali svolgiamo le nostre attività”.
È, dunque, più che mai il caso di “cominciare a capire quali siano, oltre alle quantità, le qualità, le potenzialità, a pensare a questi edifici come risorse”. Questo dipende moltissimo da dove si trovano gli edifici da recuperare “una ex caserma nel centro di Firenze non avrà problemi a trovare una nuova destinazione, ma i 'vuoti' sono tanti e sparsi un po' ovunque”.
Il riutilizzo di un patrimonio così variegato “non è una questione né solo tecnica, né amministrativa. È lo snodo delle politiche con le quali il Paese intero può rilanciare le proprie città”. Questione di programmazione, complessa, partendo dalla constatazione che “alla giusta volontà di non consumare ulteriormente suolo abbiamo affiancato una falsa certezza: che le città, così come sono, siano già adeguate ad accogliere la trasformazione. Mentre su ambiente, mobilità e accessibilità ai servizi c'è ancora tanta inadeguatezza”.
L’urbanistica è ancora legata al piano regolatore, ma sono paradigmi da ripensare. Per esempio perché siamo abituati a considerare attività produttive incompatibili con la residenzialità, “ma con le nuove tecnologie non è sempre così” afferma ancora Silvia Viviani.
“Dobbiamo imparare a mettere insieme il macro e il micro, dalla famiglia al soggetto pubblico, dall'alloggio alla carcassa dell'edificio artigianale dismesso. Dobbiamo lavorare per portare su questi luoghi le risorse disponibili, dal risparmio del singolo al fondo europeo”.
Sparsi ovunque, si diceva, questi immobili vuoti. Persino nel mercato di maggior qualità in Italia, vale a dire Milano, dove si concentra il 2% degli uffici italiani, pari a 13 milioni di metri quadrati. La quantità di “inadeguato” è pari a 2 milioni di metri quadrati, solo in centro sono 800mila.
Anche se qualcosa, sottolinea, Giacomo Barbuio, direttore associato di Bnp Paribas Real Estate, sta cambiando. Soprattutto per quanto riguarda l’appetibilità all’estero degli immobili inutilizzati, in particolare a Roma e Milano. L’anno scorso ci sono stati 8 miliardi di investimenti da capitali stranieri, l’80% di quelli complessivi. A Milano, nel 2014, non c’era stato alcun capitale estero impiegato per rilevare immobili milanesi completamente sfitti. L’anno scorso il 17%, in quello in corso si è arrivati al 32%, al quale si aggiunge un 15% in immobili parzialmente sfitti.
La parte del leone l’ha fatta Piazza Cordusio, che si sta completamente trasformando. Degli occupanti precedenti è rimasta solamente Generali, che si trasferirà a breve. Il fondo Blackstone ha comprato l’immobile delle poste, che verrà convertito a uso retail, tra cui il primo Starbucks in città in Italia, con una parte residuale di uffici. Primo negozio di Starbucks in Italia. Il palazzo di Unicredit, quasi 50mila metri oggi liberi, è stato acquisito dai cinesi di Fusun e sarà in gran parte utilizzato come hotel, mentre il fronte strada sarà utilizzato come negozi e solo una parte residuale come uffici. Ancora retail, per lo più, per l’ex palazzo di Fondiaria Sai, passato a Hines.
Altri passaggi di mano a breve sono previsti anche nella vicina via Broletto.“Quando Unicredit si è trasferita – dice Barbuio – c’era il timore di cosa sarebbe successo a quella piazza così centrale. Oggi, se quegli immobili tornassero sul mercato, ci sarebbe più di un interlocutore interessato. C'è grande interesse per investire in interventi di riqualificazione”.
Il tema del cambio di destinazione d’uso è fondamentale, come sottolinea Francesca Zirnestein, direttore generale di Scenari Immobiliari, perché “al di là del residenziale che ha bisogno sostanzialmente di politiche di sostegno, ma non di trasformazioni, c’è tantissimo patrimonio industriale e commerciale che non può più essere utilizzato come tale, legato a produzioni che non ci sono più. E raramente può essere utilizzato nella logistica, perché le strutture non sono adeguate a tale scopo o non si trovano lungo snodi importanti”.
Quello che manca, secondo la Zirnestein è “la vera analisi della domanda. Quali saranno gli obiettivi di consumo della popolazione? In Italia, per esempio, abbiamo una popolazione che sta invecchiando. E la fascia di popolazione già in età avanzata è quella che ha buona capacità di spesa, rispetto ai più giovani. Ma abbiamo pochissime strutture dedicate a questo tipo di popolazione. Non parlo di case di riposo, dedicate a chi ha bisogno continuativo d’aiuto. Ma gli anziani, anche se autosufficienti, hanno più bisogno di essere vicini ai servizi di una coppia giovane: la questione del ritorno ai centri urbani non è solo sociologica, ma anche pratica”.
Ancora parcheggiato al Senato, dopo essere stato approvato a maggio alla Camera, è il ddl sul Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato, che si propone di arrivare al consumo zero per il 2050. L’articolo 4 prevede di dare la priorità alle attività produttive dismesse per la rigenerazione di aree urbane.
Oggi, rispetto al passato, già esistono degli strumenti per consentire il riuso di immobili nati con un diverso scopo, come l’articolo 3 bis del testo unico per l’edilizia, o il permesso di costruire in deroga. Consentito esclusivamente per edifici pubblici o di interesse pubblico. In questo caso il Consiglio di Stato ha chiarito che pubblico interesse non coincide necessariamente con proprietà pubblica, ma valgono altri criteri come, ad esempio, la creazione di posti di lavoro. Sul riconoscimento di tale utilità deve, comunque, esprimersi il consiglio comunale.
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